A 4 e 5 corde: tecniche antiche da riscoprire
E’ ormai appurato che l’ukulele nasce nelle isole Hawaii come evoluzione di due strumenti portoghesi: la braguinha, un tipo di cavaquinho che prende il nome dalla città di Braga, e il rajao, suonato nell’isola di Madeira, sull’oceano atlantico, dagli emigrati portoghesi. Si tratta di strumenti etnici diffusi in Europa e in America latina, spesso impropriamente chiamati “chitarrine” per l’inconfondibile cassa a forma di 8, esattamente come il cuatro venezuelano, il charango andino, il cavaquinho brasiliano, il tiple colombiano o strumenti più grandi come il tres cubano e la vihuela messicana, solo per citarne alcuni. L’ukulele e tutti questi strumenti derivano senza dubbio dall’antica “vihuela de mano”, come veniva chiamata la chitarra nel XVI e XVII secolo nella penisola iberica, attraverso una serie di metamorfosi che personalmente mi hanno sempre incuriosito. Essi, oltre alla cassa a forma di 8, presentano altre interessanti aspetti in comune come le accordature che benché molto variabili fra loro sono affini a quelle delle chitarre antiche, oggi chiamate rinascimentale e barocca definendole in base al periodo storico in cui hanno avuto maggior diffusione, ma ssrebbe più corretto usare il termine “chitarra a 4 o 5 cori”, classificandole in base al numero di cori. Per “coro” infatti si intende la corda che può essere singola o doppia. La chitarra a 4 cori, ad esempio, presenta l’accordatura LA MI DO SOL: la prima singola, la seconda e terza raddoppiate all’unisono e la quarta ottavata, cioè SOL acuto e grave a distanza di un’ottava. Possiamo quindi affermare che ukulele e chitarra a 4 cori hanno la stessa accordatura ma il primo a corde semplici, la seconda a corde doppie con la quarta sia “high G” che “ low G”, per usare una terminologia ukulelistica. Tutti questi strumenti sono simili anche per le tecniche esecutive impiegate. Possono infatti essere suonati in stile punteado e in stile rasgueado: il primo consiste nel pizzicare le corde e permette di eseguire melodie e formule d’arpeggio, il secondo, corrispondente allo strumming, è utile per l’accompagnamento ritmico armonico e in Italia era chiamato “tecnica delle botte” proprio per la sua gestualità percussiva. Gli strumenti antichi, di cui anche l’ukulele è discendente, ci posso insegnare molte cose aiutandoci a riscoprire alcuni aspetti della tecnica strumentale che a volte trascuriamo o che diamo per scontati o acquisiti una volta per tutte. Il primo in ordine di importanza è relativo alla produzione del suono. 1 proposta operativa: LA PRODUZIONE DEL SUONO (indicata anche per principianti) Appoggiamo il fondo dello strumento sulle gambe con le corde rivolte in alto e col pollice PREMIAMO le corde una alla volta rilasciando ciascuna corda per farla vibrare. Cerchiamo di fare in modo che la corda, quando rilasciata, si alzi e vibri in direzione perpendicolare alla tavola armonica. Quest’ultima vibra in quanto è sollecitata dalla corda stessa attraverso il ponticello. Tanto più la corda e la tavola saranno in sintonia, quanto più otterremo un suono pieno quindi ricco di armoniche. Proviamo al contrario a suonare la corda pizzicandola in direzione parallela alla tavola. Noteremo che il suono cambia sensibilmente perdendo la sua pienezza e corposità, assottigliandosi e diminuendo il volume. Due sono le considerazioni da fare. Più lo strumento è piccolo (l’ukulele soprano è un caso emblematico) tanto più dobbiamo valutare il nostro tocco perché il volume e la qualità del suono dipendono dal nostro gesto, potendo contare poco sull’amplificazione prodotta dalla cassa. Penso che prima di ricorrere ad amplificazioni di ogni sorta, attribuendo al nostro ukulele poco suono, si dovrebbe cercare di sviluppare una tecnica acusticamente efficace. Ovviamente quando suoniamo ricorriamo a diversi gesti strumentali per ottenere altrettanti suoni e colori, ma il meccanismo base di produzione del suono rimane quello appena descritto. Quanto detto vale anche per lo strumming: non deve fuorviarci il fatto che ricorriamo ad espressioni quali Su / Giù Up / Down Arriba / Abajo perché a tutti gli effetti si tratta sempre e comunque di premere le corde verso la tavola armonica: è la mano che va giù o su, non le corde che si abbassano anche se a volte solo parzialmente. Tutto ciò ci dà un’altra importante indicazione e giustifica l’utilizzo del pollice in modo quasi esclusivo, tanto nel pizzicato che nel rasgueado, così come fanno i principianti, spesso per comodità, e gli esperti, per scelta. Da sempre la chitarra è stata al tempo stesso strumento colto e popolare, usato per accompagnare la danza e il canto ma anche come solista in composizioni originali o in trascrizioni di brani polifonici, suonato in piedi o seduti, con o senza tracolla, tanto da artisti di strada quanto da canonici, usato per accompagnare la preghiera in casa ma anche per allietare il pubblico degli spettacoli di artisti ambulanti. Al riguardo esistono diverse stampe d’epoca che raffigurano importanti comici della commedia dell’arte, tra i più noti Scapino e Buffetto, mentre imbracciano la chitarra per accompagnarsi in canzoni buffonesche. Non può certo passare inosservata una verosimile analogia con George Formby e Roy Smeck, mitici ukulelisti che erano sia attori che cantanti, uomini di spettacolo che hanno saputo nelle loro esibizioni coniugare l’ukulele, alle volte esibito in funambolici virtuosismi come nel caso di Roy Smeck, con il canto in quei caratteristici intrattenimenti spensierati ed eleganti, fatti di sorrisi, di simpatia e leggerezza, tutte qualità che il nostro ukulele possiede. 2 proposta operativa: IL PASSEMEZZO Rifacendomi a questo mondo vi propongo un brano che secondo me suggerisce quell’ambientazione tipica del teatro di strada del 600, si intitola Buffones e lo presento nella versione di G. Morlaye: Penso sia interessante suonare giri armonici inconsueti, andando oltre il classico giro di Do e abituando l’orecchio a sequenze armoniche non tonali come il passemezzo che caratterizza l’inizio di questo brano. Ho annotato due giri armonici di 8 misure (il primo con il Sib che richiede il barrè, il secondo semplificato col Fa) con altrettante sequenze ritmiche su cui esercitarsi.3 proposta operativa: IL REPICCO Fra le tecniche della chitarra a 5 cori contenute sia in composizioni solistiche che in testi specifici destinati all’ accompagnamento, penso sia interessante per un ukulelista conoscere la tecnica del repicco, per molti versi affine a quella della tripletta, utile per variare i soliti strumming ma anche per variarne il colore. Come descritto da Pietro Millioni nel suo libro di intavolatura, il repicco si esegue a tre dita con un pattern gestuale che col dito medio accenta la prima nota della quartina. Infatti se la tripletta corrisponde a una terzina il repicco qui presentato corrisponde a una quartina che in velocità viene realizzata anche a due dita: l’indice e il pollice in un doppio movimento giù giù su su colpiscono la corda una volta col polpastrello e la volta successiva con l’unghia. Questo determina un colore caratteristico che non si avrebbe usando solo l’indice o con altre combinazioni. La composizione di mia conoscenza che ne fa maggior uso è la Follia di Spagna nella versione di Francois Le Coq. Da questa ho scelto l’incipit delle ultime tre variazioni che sono tutte basate sul repicco, ho riscritto ed evidenziato i singoli pattern della mano destra che potete esercitare seguendo la sottostante sequenza armonica di 8 misure tipica della Follia. Non penso che le molte analogie messe in luce debbano a tutti i costi portare gli ukulelisti ad eseguire il repertorio antico, benché bello, divertente e probabilmente anche congeniale al nostro ukulele. Piuttosto mi auguro di aver stuzzicato la curiosità di qualcuno verso le accordature alternative e le corde doppie, perché ritengo sia una visione limitata quella secondo cui ogni strumento ha un’ accordatura e quella rimane fissa. Penso che già la possibilità di variare fra accordatura high G e accordatura low G sia da percorrere con più decisione di quanto mi sembra che venga fatto, ancor più iniziando ad esplorare le corde doppie, magari anche solo la quarta. Il mio, più semplicemente, vuole essere il tentativo di cercare linee comuni “intorno all’ukulele” fra strumenti antichi e/o etnici, simili ma con repertori diversi, con soluzioni strumentali applicabili in contesti musicali lontani nel tempo e nello spazio. Senza dubbio l’ecletticità dell’ukulele favorisce la possibilità di assorbire ed acquisire, parzialmente o in toto, tecniche esecutive o pattern con le relative sonorità, conoscendo e assimilando aspetti che possono arricchire il vocabolario di uno strumento che ben si presta a percorsi creativi originali. Rielaborazione degli appunti del Workshop tenuto da Davide Donelli a Vicenza il 19 giugno 2016 durante il Festival dell’Ukulele.
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