Sono molto incuriosito dalla presenza, nel repertorio di molti ukulelisti, di brani ragtime o ad esso ispirati. Non ho una conoscenza approfondita di questo genere e mi domando quale può essere il legame fra ragtime ed ukulele. Il termine ragtime indica uno dei generi musicali nati negli States alla fine dell’800 e confluito nel jazz dei primordi. Sono gli stessi decenni in cui nelle isole Hawaii dalla fusione di due strumenti popolari portoghesi, la braguinha e il rajao, nasce l’ukulele. Strumento che asseconda le esigenze di una musica fatta di melodie dolci e sinuose, così come la lingua hawaiana. La parola “rag” significa brandello mentre “ragtime” può essere tradotto come tempo stracciato o spezzato quindi, usando il termine tecnico più appropriato, tempo sincopato. In pratica su una pulsazione molto sostenuta e a dir poco frenetica si inseriscono accenti spostati, come una corsa mozzafiato con balzi improvvisi su un tappeto di passi regolari. Il ragtime è musica esclusivamente strumentale, di solito eseguita al pianoforte da virtuosi capaci di suonare con una velocità e una precisione meccaniche, tali da indurre l’ascoltatore a dubitare della presenza di un essere umano, immaginando piuttosto un pianoforte a rulli, una pianola, strumento in voga in quegli anni fino alla comparsa del mitico jukebox, ma questa è un’altra storia. La gioia e l’energia che un ragtime sa sprigionare lo pone esattamente agli antipodi del blues, triste e dolente per eccellenza. Proprio come nel repertorio religioso la gioia è del Gospel e la tristezza dello Spiritual, il ragtime è facilmente riconoscibile per il suo carattere estroverso, allo stesso tempo misurato e contagioso. Di certo anche l’ukulele ha una congeniale inclinazione verso espressioni gioiose e positive, anche se la musica hawaiana tradizionale ha spesso un carattere sognante e rilassato, una volta giunto negli States l’ukulele viene subito adottato per le sue ineguagliabili potenzialità ritmiche e il suo timbro frizzante e scherzoso, a volte perfino ironico. Forse la stessa ironia che permeava quegli spettacoli denominati “minstrel show” nei quali i bianchi parodiavano atteggiamenti e caratteri del nero afroamericano e che rappresentava una delle più divertenti forme di intrattenimento dell’epoca. Insomma in terra di meticciato l’ukulele non ebbe difficoltà a trovare ospitalità. Negli States lo strumento meticcio più affine era senza dubbio il banjo, dove il tamburo africano si innesta nella struttura di un cordofono a 4 o 5 corde pizzicate, sul modello della chitarra europea. Usato per accompagnare il canto permette all’esecutore di mantenere lo streight time, il tempo regolare, pizzicando con il pollice le due corde più gravi in alternanza, come i passi di una marcia, “spezzando” il tempo con l’indice o il medio sulle corde più acute per essere rag. Non può passare inosservato come in questo modo nacque la tecnica fingerpicking che ben si presta ad essere usata sul banjo, sull’ukulele e sulla chitarra folk. Da questo momento in poi molti canti verranno suonati in stile ragtime anche se provenienti da tradizioni musicali diverse: canti popolari neri e bianchi, antiche ballate irlandesi e scozzesi, inni religiosi. Tracce di tutto ciò sono disseminate nel repertorio ukulelistico sia grazie alla riproposta delle pagine ragtime più popolari di Scott Joplin, il più conosciuto, ma non mancano brani originali nati proprio sulle quattro corde dell’ukulele, penso a James Hill, Dan Scanlan e molti altri che potete ascoltare nel Podcast di questa puntata. (Articolo apparso sul blog UKULELE CHE PASSIONE! e sul notiziario LA PULCE – mag 2017 )
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